Quando, circa un anno fa, ho avuto la strana idea di chiedere a Carlo Simioni, direttore del Teatro Accademico di Castelfranco Veneto, di documentare fotograficamente quanto succede “là dietro” non avrei mai pensato di vivere un'esperienza così coinvolgente.
Volevo, in qualche modo, tentare di raccontare cosa accade dietro quel grosso e pesante telo di velluto che divide e poi, in un attimo unisce, due mondi così diversi.
Da una parte il proscenio, la platea, i palchetti e le logge. Preziosi affreschi, eleganti poltrone, colonne corinzie e finestre coronate da pregiati frontoni.
Dall'altra uno stretto intreccio di corridoi, porte e piccole stanzette tutte uguali. All'interno di ognuna, un vecchio specchio, uno sgabello, un lavandino, una valigia e un neon che a volte traballa.
Ho sempre sentito irresistibile il fascino per tutto quello che risulta nascosto allo sguardo dello spettatore, che rimane nell'ombra e visibile solo agli addetti ai lavori.
Interminabili grovigli di cavi, grosse corde come cime di navi che salgono verso il buio senza farne vedere la fine, scale di legno, ganci, moschettoni, borsoni e pesanti casse di metallo.
Le quinte, nere e di tessuto più leggero, sembrano le vele spiegate di una nave. Là dietro tutto è immerso nell'ombra ma, allo stesso tempo, ordinato con precisa disposizione millimetrica.
Ci si può arrivare aprendo una piccola porta laterale che lo spettatore non può notare perché le si passa accanto senza neppure vederla, con lo sguardo di chi è già rivolto verso la sala. Una volta aperta, si trova una scaletta stretta e silenziosa che si percorre con il rispetto e la delicatezza che merita quel luogo.
Ci si trova improvvisamente soli e in silenzio e il brusio del vociare degli altri si sente ormai lontano dietro la grossa porta tagliafuoco. è un silenzio strano che non si può provare in altri luoghi. Puoi sentire ogni tuo passo e il respiro si fa pesante perché capisci che stai per arrivare in un luogo magico. Tutte le volte che apro l'ultima porta, quella che conduce dietro il maestoso sipario, la tocco e la spingo con la delicatezza di chi entra in una stanza dove qualcuno sta dormendo. è un movimento lento e incerto perché incerto è quello che ci si può trovare. Spesso ti accoglie un assordante silenzio e ci si trova a muoversi lentamente come dentro un bosco fitto, fatto di ostacoli di ogni tipo.
Ora è il passo che deve diventare leggero. Il legno del pavimento è duro e compatto ma il suono è sordo e cupo a ogni tocco.
Ancora una volta ci si trova da soli perché gli attori, le ballerine, i musicisti sono ancora nei loro camerini. E allora quel posto, per qualche minuto rimane solo tuo e ne puoi percepire la magia e la potenza. Ci si muove con immenso rispetto tra leggii e strumenti già accordati, strumenti di scena già messi al loro posto e piccole croci di nastro adesivo incollate al pavimento che fanno capire che lì, tra poco, qualcuno avrà il suo momento di gloria.
Intravvedo nella camera di regia Dennis e Roberto. Sono loro i veri padroni di questo luogo. Quelli che rimangono invisibili a tutti ma, che da lì, dominano tutto e tutti. Sono i silenziosi registi del Teatro che con tocchi decisi e sicuri muovono corde, quinte, luci e soprattutto premono quel magico pulsante che unisce o separa due mondi.
Un'altra porta rappresenta l'ennesima sfida, un'altra avventura. è quella che conduce ai corridoi dei camerini. Ci si può sentire un intenso brusio se si tratta di una compagnia teatrale o di un'orchestra oppure, più affascinante e misterioso, un leggero parlottare se si tratta di pochi attori.
Mi avvicino con la timidezza che mi accompagna da sempre ma ogni volta vengo accolto con favore e stupore. Lì dietro, qualcuno suona il LA per consentire la giusta accordatura degli strumenti. Un altro ripete ad alta voce quei versi che proprio non vogliono entrare in testa. Qualcun altro ripassa freneticamente una parte del copione con il naso incollato al foglio come se lo volesse annusare. Due ballerine si truccano a vicenda e sembrano darsi coraggio guardandosi negli occhi. Qualcuno rimane da solo in un angolo buio e sembra voler vivere quegli ultimi istanti con spirito di intimità e concentrazione.
Ho sempre avuto molto riguardo per questi momenti e forse, proprio per una forma di rispetto, la mia macchina fotografica è rimasta spesso ferma ad aspettare.
Ho visto attori, seduti verso la platea vuota, recitare frasi buddiste immersi nella meditazione più profonda.
Altri, stesi per terra, a contorcere il loro corpo con insolite movenze. Qualcuno rimanere in piedi, occhi chiusi e in silenzio, ad ascoltare la sala ancora vuota.
Dalle piccole stanze dei camerini, intanto, escono intense nuvole di lacca e di profumo.
Quello stesso profumo che, di lì a poco, avrà il gusto acre del sudore.
Massimo Porcelli
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